venerdì 26 ottobre 2018

Condono con dolo



Il MoVimento 5 stelle è un fenomeno a un tempo ammirevole, surreale e terrorizzante. Terrorizzante per la totale incoerenza e ipocrisia dei messaggi che trasmette, seguendo passo passo la peggiore delle tradizioni italiane, ma ammantati di un’aura messianica che li rende dannatamente pericolosi; surreale per l’accettazione totale e passiva di tale ipocrisia da parte dei suoi seguaci, che ritengono i loro beniamini del tutto incapaci di sbagliare, mentre sono sospettosi, diffidenti e tendenti all’apotia per quanto riguarda gli esponenti di altre compagini politiche; ammirevole perché sono usciti a ottenere un risultato simile qui in Italia, dove di norma il dogma dell’infallibilità è riservato al Papa quando opera ex cathedra, e neanche sempre. 

La più grave delle tante piccole ipocrisie che hanno messo in atto (e che anche in questo caso sta passando sotto silenzio) è la faccenda dei condoni per Ischia e per il centro Italia inseriti aummo aummo nel famoso decreto Genova. La linea di difesa che i grillini esprimono è in effetti solida: dicono di non star proponendo nessun condono, perché è limitato territorialmente e dedicato esclusivamente a scopi legati alla ricostruzione. Ma proprio questa difesa, che sembrerebbe perfettamente sensata, fa capire quanto in realtà agiscano in cattiva fede e con dolo.

Nel decreto sono infatti scritte due cose: che nel centro Italia, i termini del condono del 2003 verranno estesi fino al 2016; e che a Ischia le domande di condono verranno recuperate e  valutate facendo riferimento esclusivamente alle norme contenute nella legge di condono di Craxi del 1985. 

Per spiegare cosa vuol dire, bisogna tener presente che in Italia, dal dopoguerra ad oggi, le leggi di condono edilizio sono state tre: una proposta durante il governo Craxi nel 1985, e due da Berlusconi, la prima nel 1994 e la seconda nel 2003. Ognuna di queste leggi (barbare, incivili e tutto quello che volete) ha almeno avuto la decenza di essere più qualitativamente restrittiva di quella precedente. Questo vuol dire che ottenere un condono nel 2003 è stato più difficile che ottenerlo nel ’94, e molto più difficile che ottenerlo nel ’85; ciò a causa di una sempre maggiore attenzione alla protezione idrogeologica, paesaggistica e ambientale. 

Se il decreto andasse in porto a questi termini, invece, chi ha fatto un abuso in una delle regioni del centro Italia colpite dal terremoto tra il 2003 e il 2016, se lo vedrà tranquillamente condonato alle condizioni del 2003, che oggi 26 ottobre 2018 ci sembrano terribilmente obsolete. 
Ma c’è di peggio. 
Chi ha fatto un abuso ad Ischia, e ancora non ha ricevuto il condono, vedrà la propria domanda essere ripresa in considerazione, a prescindere da quando avrebbe commesso l’abuso o da quando avrebbe inoltrato domanda di condono, alle condizioni del 1985.Vale a dire secondo i principi di protezione idrogeologica, paesaggistica e ambientale di 33 anni fa.

Tralasciando i legittimi dubbi relativi al fatto che gli abitanti di Ischia si trovino con condizioni enormemente più vantaggiose nonostante il terremoto abbia colpito meno duramente che in centro Italia, entrambe queste situazioni sono di una gravità inaudita. Case costruite ad Ischia con criteri considerati pericolosi già nel ’94 potrebbero essere condonate senza colpo ferire, perché magari erano invece considerate accettabili nell’85. Abusi commessi nel centro Italia dopo il 2003, nonostante già allora si disse “mai più condoni” verrebbero ipocritamente perdonati appena qualche anno dopo, e chiunque li abbia commessi guadagnerà bei soldoni approfittando di una tragedia terribile come il terremoto. 

Io vorrei che gli elettori 5stelle giudicassero i loro beniamini con la stessa severità con cui giudicano gli esponenti di altre forze politiche. Non con meno, non con più, con la stessa. Solo così possono fare la loro rivoluzione, solo così potranno definirsi apoti. 

lunedì 22 ottobre 2018

Governo del cambio manuale



Quante volte sui giornali, ai telegiornali, sui social, o con i soliti zanzeri al bar sentiamo dire la frase “ormai destra e sinistra non esistono più, è tutta la stessa marmaglia”? Spesso. E probabilmente, in un’accettazione pigra e qualunquista dell’opinione altrui, abbiamo annuito, senza soffermarci a riflettere su una frase che a causa della sua stessa banalità ci può sembrare innocua e tutto sommato insignificante. 
In realtà, questa frase è molto potente e racchiude un po’ il succo e la tragedia della politica italiana attuale, ma probabilmente non viene afferrata nelle sue sfaccettature più profonde neanche da coloro che la pronunciano.
Senza alcuna pretesa di esaustività né di rigore metodologico, e ponendosi il preciso obiettivo di semplificare al massimo, al limite della banalizzazione, possiamo immaginare destra e sinistra come due elementi entrambi essenziali in un sistema politico. Se la democrazia fosse un’automobile, la sinistra sarebbe interpretabile come l’acceleratore e la destra sarebbe il freno. In certi casi perversi la sinistra accelera al punto di diventare pericolosa, e in altri la destra è talmente frenante da trasformarsi in retromarcia; ma in una democrazia funzionante, entrambe le compagini politiche sono essenziali affinché il paese vada avanti, possibilmente senza andare a sbattere da nessuna parte. Questo principio, con le dovute eccezioni, è stato più o meno rispettato durante i primi 45 anni della storia della Repubblica. Ci sono stati ovviamente parecchi guasti, alcuni sbagli di direzione, qualche frenata un po’ brusca, parecchi incidenti, ma tutto sommato con la vecchia automobile si procedeva, finché non si è guastata irrimediabilmente all’inizio degli anni ’90. Quando l’abbiamo cambiata con una nuova di zecca, ne abbiamo scelta una con un freno del tutto imprevedibile, che ha corrotto il significato della parola freno (leggi: destra) e le ha dato un volto risibile; e un acceleratore che, dovendo fare in parte anche il compito del freno, è risultato privo di mordente. Il risultato? La macchina, con un acceleratore che doveva agire anche da freno e un freno che faceva un po’ come gli pareva, si è guastata dopo neanche la metà del tempo della prima. 
Ora abbiamo la nostra terza macchina. Per la prima volta, non abbiamo una macchina col cambio automatico. Siamo passati a una con il cambio manuale (chissà se è per questo che si chiama governo del cambiamento), e abbiamo un terzo pedale. Ma, decisamente, non siamo abituati a guidarla. Il freno ce lo siamo praticamente dimenticato (del resto, sono trent’anni che non lo usiamo, o lo usiamo a caso) e schiacciamo solo perennemente sulla frizione, incuranti del fumo nero che fuoriesce dal motore. E per di più, forse abbagliati dalla novità di questo terzo pedale, anche quando proviamo ad accelerare a tavoletta, quando lo facciamo premiamo contemporaneamente al massimo sulla frizione, ghignando soddisfatti mentre il rumore fa un inutile chiasso, senza andare da nessuna parte. 
Ecco quindi perché siamo confusi, ecco quindi perché “destra e sinistra non esistono più”. In realtà esisterebbero ancora, e sarebbero entrambe fondamentali; solo, non sappiamo più usarle.