lunedì 30 luglio 2018

Slowgan




In epoca di Postverità, proteggere le parole, discuterle, commentarle, è più che un semplice piacere retorico per poeti o un esercizio esegetico per i giuristi, è niente meno che una forma di resistenza alla dittatura dello slogan. Gli apoti sono chiamati in questi tempi bui a soppesare le frasi ad effetto, analizzare i titoloni, ponderare i proclami con calma, lentezza e riflessività. Gli slogan politici hanno acquisito un potere che va al di là della loro tradizionale idea di punto di riferimento di uno scopo o di un’aspirazione; sono diventati ormai anche un modo per mascherare le proprie intenzioni, e di fingere di essere ciò che non si è. Questo post vuole commentare due dei più importanti e famosi slogan della Lega di Salvini e dimostrare come non solo siano deleteri (tutti gli slogan di qualsiasi schieramento politico in certa misura lo sono), ma anche drasticamente in contrasto con le ideologie di destra di cui Salvini dovrebbe essere il paladino.
Prima di continuare con la lettura, è d’uopo confessare che chi scrive ha una certa simpatia per alcuni princìpi tradizionalmente associati alla destra (il patriottismo non nazionalista, il rispetto totale per le istituzioni dello Stato, un certo apprezzamento per il liberismo economico); il post quindi difficilmente si manterrà asettico e neutrale. Ho ritenuto opportuno fare questa premessa per dare la giusta chiave di lettura. 

Il primo slogan che voglio commentare è “Prima gli Italiani”. Non c’è bisogno di spiegare perché questa frase trasmetta un messaggio completamente privo di etica, anche un bambino ci riuscirebbe. L’idea che una caratteristica congenita, legata alla propria nascita più che al proprio merito, renda portatori di diritti particolari va contro tutti gli ideali morali e giuridici che esistono sin dalla Rivoluzione Francese. Cosa c’è di diverso nel dire “Prima gli Italiani” col dire “Prima i nobili” o “Prima gli ariani” o “Prima quelli alti più di un metro e novantacinque”? Va da sé che qualsiasi posizione politica che difenda privilegi acquisiti per nascita e non per merito è semplicemente ridicola. Ma, di nuovo, non c’è (o non ci dovrebbe essere) bisogno di dire certe cose.
L’aspetto più interessante di questo slogan è invece un altro: che non si tratta affatto di uno slogan di destra. Non solo è ovviamente lontanissimo dalle ideologie della destra moderata e liberale, ma anche da quelle più estreme del fascismo italiano. Se leggiamo tra le righe la frase “Prima gli Italiani” il messaggio che possiamo intuire è “Sei italiano? Non importa se sei pigro, disonesto, delinquente, evasore, mafioso, ci sarà automaticamente qualcuno più in basso di te”. In altre parole, un modo per gli ultimi di sentirsi meno ultimi senza dover muovere un dito per migliorarsi o perfino per aiutare il proprio Paese. Questo concetto è quanto di più lontano dalla destra possa esistere. Perfino durante la barbarie del fascismo, essere italiano non significava affatto avere diritti speciali, quanto piuttosto avere doveri speciali. I nostalgici del fascismo, in particolare chi avverte la Fernweh per il Ventennio, sappiano che non fu affatto un’età dell’oro per i privilegi degli Italiani, che non potevano sottrarsi al dovere di morire per la Patria senza nemmeno avere il diritto di lamentarsi per tale ragione; cioè esattamente il contrario di quello che promulga Salvini, che offre a tutti il diritto di lamentarsi mantenendo intatta la possibilità di evitare i propri doveri.

Il secondo slogan è forse più subdolo, perché a una prima occhiata sembra innocuo e anzi, anche intelligente. Parlo di quel “Il Buonsenso al Potere” che campeggiava a caratteri cubitali sulla pagina Facebook di Salvini fino a qualche giorno fa. Per capire appieno perché questo slogan è pericoloso, consiglio a tutti la visione di questa puntata del programma “Eppur si muove”, condotto da Indro Montanelli e Beniamino Placido con ospite Elisabetta Rasy, in particolare dal minuto 3:20 al minuto 3:59. Ecco il link su Raiplay, il sito ufficiale della Rai (attenzione: è necessaria la registrazione; potrebbe servire l’istallazione di un plug-in; il link potrebbe essere difettoso, nel caso vi suggerisco di ricaricare la pagina un paio di volte e/o di aprirla con Google Chrome). 
Nonostante siano passati 24 anni da questa trasmissione, Montanelli e Placido hanno descritto con inquietante precisione il pericolo dell’esaltazione del buon senso a scapito della cultura. La frase “il buon senso ci dice che la terra è piatta e sta ferma, ma serve la cultura per capire che eppur si muove”, ascoltata oggi, mette i brividi. La postverità sta producendo una quantità enorme di individui dotati di tanto “buon senso” da credere che la terra sia piatta, ma talmente poca cultura da non capire di essere in errore. In altre parole, non sono in grado di fare ”quel passettino in più” di cui parlano i due giornalisti.
Tutto ciò è lontano anni luce dalla destra. La destra di Prezzolini, di Longanesi, di Montanelli, dovrebbe ribellarsi non una, ma dieci, cento, mille volte a questo imbarbarimento dei suoi messaggi. La borghesia italiana, che più di ogni altra classe sociale viene colpita a sangue dall’esaltazione dell’ignoranza portata avanti dagli slogan leghisti, preferisce invece andare a votare l’abito confondendolo con il monaco, o ancora peggio rifugiarsi timorosa nel limbo del non-voto. “Non ci sentiamo rappresentati da nessuno”, dicono. È vero. Ma se qualcuno si alzasse e invece che “Italia agli Italiani” e “Il buonsenso al potere” urlasse “Italia a chi la ama” e “La Cultura al potere”, avrebbero il coraggio di alzare la testa e votare per lui?

Io penso di no.

martedì 17 luglio 2018

Apertura.




È un esperimento per certi versi banale, per altri azzardato, questo blog che inauguro oggi. 
La banalità è nello strumento: un ennesimo diario di un ennesimo millennial che spera di sopperire con il disincanto alla mancanza di stimoli e struttura che caratterizza la sua generazione; l'azzardo lo si può trovare nel titolo. 

Cosa vuol dire "Àpotia in Postverità"? 
Nel 1922, anno della Marcia su Roma, il grande giornalista Giuseppe Prezzolini pubblicò una lettera incendiaria sulla rivista "Rivoluzione Liberale", in cui fondava la "Società degli Àpoti" cioè "coloro che, essendo dotati di intelligenza, non voglion bere le illusioni e le bugie che fanno vivere i patiti politici". L'apota, termine coniato dallo stesso Prezzolini, diventa quindi "colui che non se la beve", un paladino dello spirito critico che in un momento oscuro della storia italiana cerca di opporsi intellettualmente al dilagare delle menzogne e della propaganda del futuro regime fascista. L'apotia, per diretta conseguenza linguistica, è semplicemente la filosofia dell'apota, cioè quella di essere al servizio solo del dubbio e della critica e di non prender mai niente per oro colato, da nessuna fonte.

Non c'è bisogno di spiegare cosa significhi post-verità. L'Oxford English Dictionary ha eletto il termine post-truth come parola dell'anno 2016, e mai "riconoscimento" fu più adeguato. La post-verità dà il nome della nostra epoca, ed è uno dei principali cancri sociali del ventunesimo secolo. La maggiore consapevolezza della psicologia delle masse ha dato a politici, influencer e agenti di marketing un potere di manipolazione agghiacciante. Il problema principale legato al dilagare di questa piaga non è solo quello di influenzare la scelta delle persone tramite menzogne ripetute fino a renderle verità, è anche quello di aver aperto a una crisi morale senza precedenti. Non trovando più da nessuna parte il Vero, si ricerca solo il Proprio. 

L'apotia in post-verità non se la passa molto bene. Gli apoti, "quelli che non se la bevono" sono regrediti a uno stadio di completa incapacità di distinguere la realtà dal complotto, e coloro i quali si sarebbero dovuti porre al di fuori del gregge sono diventati invece una massa di pecoroni pronti a incensare qualsiasi teoria complottista e/o parascientifica, non importa quanto assurda possa sembrare. Ecco quindi che ciascuno pensa di essere l'unico depositario del Vero, e qualsiasi teoria, dato, o perfino fatto, che vada contro il Proprio Vero non viene affatto ascoltato o nel migliore dei casi  immediatamente bollato come menzogna. Qual è la reazione de "l'apota" davanti un fatto che smonti le sue convinzioni? «Io non me la bevo». Ecco quindi il nostro azzardo: cercheremo di essere un blog “controcontrocorrente”, nel quale si criticherà sia la corrente (siamo pur sempre apoti) che chi va contro la corrente (non ci piacciono i nostri colleghi apoti in post-verità). È un blog in altre parole che non piacerà a nessuno, ma forse proprio per questo potrà diventare interessante. 

Abbiamo uno scopo e un sogno. Lo scopo è quello di ridare lustro agli Apoti. Non si griderà "sveglia!!!", non si dirà "a me non la si fa", non si istigherà al forcone e alla rivolta, ma piuttosto si cercherà di analizzare la realtà con sufficiente spirito critico e si cercherà di offrire cornici diverse rispetto a quelle propostaci dai nostri politici per riuscire a inquadrare  problemi e bellezze dell'Italia e degli italiani dal maggior numero possibile di punti di vista. Il sogno è quello di uscire finalmente dalla tenebrosa palude della Postverità per tornare sul sentiero, magari utopistico ma certamente più nobile, di quello della ricerca della Verità. Capirete che il blog avrà raggiunto il suo scopo quando vedrete ogni suo post smontato nei commenti dei lettori con intelligenza, cortesia e rigorosità logica.
Capirete che avrà raggiunto il suo sogno quando aprendo il link non lo troverete più.